La mappa del rischio, detriti e legna nei fossi. Serve conoscenza e cura del territorio.

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Ne ha viste di tutte in queste giornate in Val di Bisenzio, Marco Morelli, che con i colleghi geologi dell’istituto di Geofisico della Toscana – ramo del Parsec – ha fatto un sopralluogo nei luoghi dell’alluvione.

Ci sono state situazioni paradossali, zone vicine hanno registrato danni assai diversi e sembra che il monte Javello sia stato il catalizzatore di molta acqua che è scesa su Vaiano, Migliana, Schignano e poi a Figline e su Montemurlo. Che cosa è successo?

“Si è trattato di una fascia temporalesca autorigenerante di una decina di chilometri, arrivata dalla costa, che andava da Quarrata al Monte Morello. In questa fascia è caduta in poche ore la stessa quantità d’acqua che cade in sei mesi. Quindi la differenza anche fra corsi d’acqua o versanti limitrofi l’ha fatta l’evento meteorologico, che non ha interessato in ugual misura tutto il territorio. La morfologia di ogni corso d’acqua, poi, è stata determinante”.

Che cosa avete notato nel vostro sopralluogo?

“Tutti i fossi che abbiamo percorso presentavano detriti e soprattutto legname tagliato con la motosega, segno che magari erano stati anche ripuliti in tempi recenti, ma poi il legname era stato lasciato sul posto. Supponiamo, come nel caso di Chiusoli, che il legname nel torrente che ha poi ricoperto di detriti il borgo abbia creato una sorta di dighe che a un certo punto sono ’scoppiate’, per cui l’acqua è scesa tutta insieme con una forza devastante”.

Incuriosisce che i danni più importanti siano avvenuti in località come “Mulinuccio” o a causa di fossi chiamati “Rio Secco”.

“I corsi d’acqua cambiano nel corso del tempo e c’è da tenerlo presente in una pianificazione territoriale. Abbiamo trovato attraversamenti sottostrada con tubature di 80 centimetri, basta qualche sasso per ostruirle. Passaggi fatti magari 40 o 50 anni fa, di cui gli amministratori attuali non hanno colpe, ma di cui andrebbe tenuto presente per l’assetto idrogeologico odierno. Quindi c’è stata una sottostima nel corso degli anni. Come torrenti che passano sotto a nuovi condomini, muretti a secco che, abbandonati, son venuti giù insieme alla terra. La toponomastica ha il suo perché, basti pensare dove si è costruito a Prato, in località come le Fontanelle o Pantano”.

La mancanza di cura, conoscenza e attenzione verso il territorio è dunque concausa del disastro?

“Una volta non trovavi legname nei fossi perché tutto veniva utilizzato, magari per uso domestico. E quando venivano tagliati i boschi si prendeva quello che serviva, non come ora che si tende a massimizzare il guadagno, lasciando una pianta ogni tanto e rovinando il soprassuolo con macchinari di grossa portata, su boschi che per 40 anni non interesseranno più a nessuno. C’era sapienza, le piante servono a rallentare l’erosione, ma solo quelle che affondano le radici sulla roccia. I nostri vecchi lo sapevano e quelle che poggiavano su uno strato superficiale, venivano tagliate o tenute basse. Sapevano cosa tagliare e cosa no. Un esempio è su una strada, rimasta chiusa perché si erano divelti, per il peso, alcuni grossi alberi che avevano radici superficiali, e si sono trascinati dietro la terra. Durante la nostra osservazione abbiamo notato che le strutture vecchie hanno tenuto. Basta pensare ai ponti, quello in via Vecchia per Migliana, che ha molta aria sotto, è sempre lì”.

Cosa c’è da aspettarsi nei prossimi giorni?

“Non è finita qui, il terreno si deve ancora assestare e probabilmente si verificheranno ancora piccoli smottamenti. C’è da considerare poi in nuovo assetto del reticolo idrografico, ci sarà da capire come funziona”.

La mappa del rischio idrogeologico si è dimostrata veritiera?

“In alcuni casi sì, alcune criticità rosse si sono dimostrate tali, alcune gialle si son dimostrate rosse”.

Claudia Iozzelli

La mappa del rischio, “Detriti e legna nei fossi. Serve conoscenza e più cura del territorio”

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